lunedì 4 aprile 2011

Buono da mangiare

Ed infine arrivano gli stuzzicadenti, trionfali.

Inevitabile e gradita conclusione di un pranzo a base di stufato di capra. Ed arriva anche una brocca d’acqua con una bacinella e del sapone, per lavarsi le mani senza neppure doversi alzare dal tavolo, un vero lusso.

John è sazio. Aspettava questo momento fin da questa mattina quando da Kalekol siamo giunti a Lodwar ed abbiamo scelto la capra che sarebbe poi stata uccisa e cucinata per essere servita nel pomeriggio sotto una tettoia nel polveroso cortile della macelleria.

Lo stufato era accompagnato da sukuma wiki (una sorta di bietola africana tagliata sottilmente) e soprattutto da ugali (polenta compatta di farina di mais bianco).

I nonni di John sarebbero rabbrividiti di fronte a tale composizione di pietanze, passi per la capra, ma i prodotti vegetali no, un Turkana mai avrebbe potuto immaginare che qualcuno del suo gruppo sarebbe sceso tanto in basso da doversi cibare di prodotti della terra. Dalla terra si potevano al limite ricavare, nei brevi periodi di tregua dall’incessante errare, piccole zucche da utilizzare poi come contenitori, non come cibo.

I Turkana, come altre popolazioni nomadi pastorali della Rift Valley si sono sempre orgogliosamente nutriti del sangue e del latte del loro prezioso bestiame, zebù soprattutto, ma oggi anche dromedari, asini e capre, le prime ad essere sacrificate all’esigenza di un nutrimento carneo. E poi bacche e radici raccolte nell’arido territorio turkana al confine keniota con Etiopia e Sudan.

Se invece i raid dei nemici, la carestia o la siccità (c’è un ampio ventaglio di scelta) hanno decimato il bestiame allora la caccia al coccodrillo sulle rive del lago di giada è il sistema al quale si ricorre più frequentemente per procurarsi della carne.

Neanche il tempo di un paio di generazioni e anche quell’ugali (divenuto nutrimento imprescindibile per una popolazione forzatamente spinta a divenire stanziale o semi-stanziale dalle politiche governative), che John raccoglie con la mano, creando un piccolo incavo con il pollice per farne un boccone con un pezzo di carne, sta già diventando un cibo superato, socialmente abietto.

Nelle cittadine più grandi le ragazze “bene” ordinano “chips” quale segno di distinzione che le mantenga a distanza dall’inevitabile equazione ugali uguale povero (e contadino). Più che cattivo da mangiare è divenuto alimento cattivo da pensare. E’ un destino ingrato quello del mais, giunto dalle Americhe per salvare popoli interi dalla fame per poi divenire nel tempo più importante come foraggio che non come alimento (soprattutto in Europa).

E pensare che sto condividendo con John, dal medesimo piatto, un alimento del tutto simile alla polenta, un cibo apprezzato anche dalle mie parti così come in altre regioni della civilizzata Europa, anche se lui lo ritiene assolutamente inverosimile, non ci crede, per lui il mais cucinato in quella maniera è alimento soltanto africano.

John porta una croce al collo. Potrete camminare nei deserti, inoltrarvi nelle foreste, salire sulle più alte montagne e lì troverete (per Dio!) una missione religiosa. Sarà allora stato un passo del Vangelo a convincere anche John e la sua famiglia che ciò che entra nello stomaco dell’uomo non può contaminarlo perché va a finire nel suo ventre e non nel cuore (discorso originario di Gesù contro le restrittive disposizioni alimentari ebraiche).

Sono però sicuro che le generazioni precedenti a quella di John non si sarebbero fatte convincere tanto facilmente e se qualcuno fosse arrivato per dir loro ciò che era bene (ovviamente nulla di quello che fino ad allora avevano fatto o pensato) avrebbero resistito, combattuto o forse consultato le forze invisibili con un lancio di sandali per aria per poi evincere dalla loro disposizione una volta ricaduti, che era meglio andarsene a cercare nuovi pascoli, nuove pozze e pioggia, altrove.

Quel che è sicuro per davvero è che poi, infine, il cibo, dopo essere passato nell’uomo, va a finire sempre e comunque nella fogna, per chi le fogne ce le ha, ovviamente.

[ricordando una delle lunghe giornate passate con John, Turkana, nei dintorni del più "meraviglioso" lago che esista. In un remoto passato le sue rive furono abitate da ogni genere di ominide conosciuto; antenati miei, di John ed anche vostri, che vi piaccia oppure no]

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