martedì 21 febbraio 2012

Il negrètto


Avvertenza: leggere il seguente post con accento o cadenza milanese, altrimenti non è lo stesso, mi raccomando...

L'amico di Mario sta per andare in pensione. Suo figlio non se la sente di continuare la sua attività, troppo impegnativo, così l'agenzia di assicurazione viene venduta e, con il ricavato, l'amico di Mario, se ne va a vivere in Kenya. Ma, a sorpresa, il figlio lo vuole seguire. Non era previsto. Il padre comunque acconsente, è pur sempre il suo papà.

Ora però, bisogna sistemare il figlio. Allora il padre, dopo aver costruito una villa per sé, costruisce tre bungalows per lui, da affittare ai turisti. La rendita permetterà al figlio di vivere con stile e magari, di trovare moglie.

L'amico di Mario vive ora in una bella villa, si sveglia presto al mattino, legge il giornale, guarda la tv. Insomma fa tutto quello che avrebbe fatto a Milano. Se ne accorge, un po' si annoia. Ha bisogno di nuovi stimoli.

Decide allora di dedicarsi alla pesca, compra una barca e l'attrezzatura necessaria. Poi prende a servizio un negrètto (vezzeggiativo che sgorga spontaneo direttamente dalla sua nobiltà d'animo) per farsi aiutare nell'attività. Il negretto ha il compito di preparare la barca e l'attrezzatura prima di uscire in mare e di ripulire ed ordinare tutto quanto una volta fatto ritorno sulla spiaggia. Diventano una squadra formidabile, tornano sempre con le reti colme.

Il negretto non percepisce alcun salario, del resto la bontà d'animo del signore milanese non arriverebbe mai a svilire un così bel rapporto con dello sciocco ed infimo denaro. Ma quando tornano dalla battuta di pesca l'amico di Mario, dopo aver scelto tutto il pescato migliore, per generosità, lascia al negretto tutto il resto: pesci martello, razze ed altri scarti (un signore).

"Dovreste vedere che bello quando tutte le donne con i vestiti colorati accorrono e si avvicinano al negretto per acquistare quei pesci per pochi soldi. Una scena d'altri tempi. Però.., come questa gente si accontenta di poco... Dovremmo imparare da loro, sempre con il sorriso..., nonostante tutto"
(certo che la moglie dell'amico di Mario si esprime con un eleganza e con una delicatezza davvero ineguagliabili, magari manca di un pizzico di capacità critica, ma è sempre cordiale e disponibile..., una signora anch'ella, insomma tutto pieno di signori in giro).

Trascorsa la stagione delle piogge, ricomincia a soffiare il kaskazi, il monsone caldo ed umido da nord-est e la barca di Mario è pronta per una nuova stagione di avventure. Ma il negretto non si presenta all'appuntamento con l'amico di Mario, è morto di aids.

Lascia la moglie e quattro figli. Era pur sempre il loro papà. Anzi no, soltanto due erano figli suoi, gli altri due erano i figli di suo fratello. Si unirono al suo nucleo famigliare un paio di anni prima quando anche il loro padre morì di aids e la moglie, loro madre, iniziò irrimediabilmente a deperire.

Secondo la moglie di Mario è successo perché spacciavano (eziologia di tipo morale secondo cui la malattia punisce, giustamente, chi se lo merita).

Per la moglie del negretto invece, la sciagura che sta colpendo l'intera famiglia, è stata causata dall'infrazione di tabù sessuali da parte della cognata. Si prostituiva in locali frequentati da attempati europei sulla meravigliosa costa del Kenya. Gli anziani (quelli africani) dicono infatti che coloro che hanno un'attività sessuale non morale si espongono deliberatamente ed inevitabilmente all'azione di pericolosi spiriti. Chi ne è colpito si indebolisce e deperisce sino a morire.

Anche per Mario le cose non succedono mai per puro caso. C'è una sorta di logica divina che soggiace agli accadimenti. I negretti della costa, anzi i negri della costa, sono sciocchi, pigri e fannulloni, oltre ad essere totalmente incapaci di risparmiare (e per la maggioranza pure musulmani, aggiungerei), ed è fondamentalmente per questi motivi che, a loro, accadono le cose peggiori. Dovrebbero impegnarsi di più per far cambiare il corso degli eventi. Non dovrebbero accontentarsi delle condizioni in cui vivono. Il vero problema, è che non hanno voglia di lavorare (un po' come i nostri meridionali). Per rafforzare la sua convinzione, Mario spiega che i negri dell'entroterra si sono emancipati proprio attraverso il lavoro ed una visione cristiana del mondo (che aiuta), seppur negri anch'essi (ma per Dio, si sa, c'è proprio spazio per tutti).

L'approccio è di tipo calvinista, non c'è dubbio. E' proprio la riuscita nella vita (leggi arricchimento) che fornisce la prova dell'accoglimento nella grazia divina. Il metro di giudizio è il lavoro. Se la vita, attraverso il lavoro, ti premia, allora è sicuro, sei nella grazia divina. La vita non ti premia, sei fuori dalla sua grazia, dispiace, ma è così.

Ma allora si tratta di un Dio cattivo che premia alcuni lasciando loro la possibilità di raccogliere i frutti del loro lavoro e castiga altri destinandoli irrimediabilmente agli stenti? No, ci mancherebbe, è la nostra prospettiva parziale e fallibile che ci impedisce di cogliere la perfezione e l'infallibilità (non dimentichiamo giustizia) dei piani divini.

E' corretto dunque attribuire la colpa ai poveri della loro miseria, ai malati delle loro affezioni, agli emarginati e derelitti della loro deriva. Non c'è dubbio.

Insomma gli sta bene, è destino.

O vorremmo piuttosto pensare che esistano delle sciocche ragioni storiche e sociali che hanno contribuito ad emarginare e condannare le popolazioni della costa a vantaggio di altri gruppi sociali i quali hanno elaborato una serie di stereotipi e luoghi comuni che giustificano ideologicamente la loro posizione egemone a scapito di coloro che debbono affrontare una miserabile sorte?

Ma per far ciò dovremmo assumere l'esistenza di entità metafisiche (e malefiche) come la storia e la società (che sappiamo bene non esistere, fortunatamente) che altro non farebbero che distogliere l'attenzione dall'unica cosa di cui necessitiamo veramente oggi: il realismo.

[dopo una delirante chiacchiera con Mario sulla spiaggia assolata. Ai bordi della spiaggia, sotto delle rocce sporgenti, ci sono dei beach boys in agguato come coccodrilli. Mario li odia, sono dei depravati, dice. I beach boys sono in realtà il corrispettivo dei turisti, il loro specchio; io li trovo odiosi entrambi. Non esistevano prima, sono nati con l'emergere del fenomeno turistico. Vendono ciò che i turisti chiedono, nell'ordine: sesso, droga, souvenirs. Turisti e beach boys vivono nel medesimo ambiente: la spiaggia. Si guardano reciprocamente con sospetto. Spogliati gli uni, vestiti gli altri; al sole gli uni, all'ombra gli altri e, quando una nube nera oscura il sole e piove, gli uni bestemmiano il loro Dio, gli altri lo benedicono.
Il turismo è la forma compiuta della guerra, ha detto una volta Marc Augé]

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