mercoledì 31 ottobre 2012

Catena alimentare cosmica


Dopo aver preparato il pranzo per la famiglia Mariana si appresta ad appendere sull'uscio di casa una jícara di atole ed un grosso pane di maíz ripieno delle zampe e della testa di una gallina sacrificata all'alba. Questa sera accenderà una candela che illuminerà l'offerta per renderla visibile anche nell'oscurità notturna, per le anime e gli spiriti che se ne vorranno cibare. Nella Mesoamerica indigena non c'è banchetto al quale non siano invitate anche le divinità (e i poveri vagabondi etnografi che vengono invitati e nutriti più che altro per senso di pietà e compassione).

Mariana ha un'anima.

No, non nel senso che è buona e sensibile ma, come succede per gli altri indios, è stata indotta a credere di averne una dai missionari. E dire che non fu una decisione semplice.

Le autorità ecclesiastiche giunte in quelle terre, si impegnarono in consistenti disquisizioni teologiche prima di poter definitivamente attribuire agli amerindi caratteristiche diverse da quelle degli animali selvatici. A difesa degli indios si schierò il vescovo Bartolomé de Las Casas che si oppose alle tesi di coloro che continuavano a ritenere evidente la loro natura bestiale. Grazie a lui fu addirittura messo in discussione il sistema coloniale di encomienda (che nonostante fosse formalmente vietato dalla Corona era comunque largamente in uso in tutte le terre coloniali) e, con esso, la riduzione in schiavitù delle popolazioni native (Las Casas argomentò che per quello c'erano già i negri africani, indiscutibilmente nati per essere impiegati come bestie da soma).

Attribuire a quegli indios disperati il possesso dell'anima, fu di fatto una concessione molto generosa, dettata dall'infinita bontà cristiana dei religiosi oltre che da alcuni loro interessi particolari. Infatti una volta fatta di quella massa di selvaggi degli esseri degni dell'appellativo umano si creò una splendida occasione di lavoro per le missioni ecclesiastiche, visto che quella nuova dotazione animica aveva creato ipso facto una popolazione da educare ad una pedagogia universale nel nome del dio cristiano. In realtà per gli indios, questo dono (avvelenato come molti altri regali cristiani), non rappresentò che una riduzione delle loro facoltà spirituali dal momento che di anime ne possedevano già in buon numero prima dell'avvento di questa nuova divinità con i suoi missionari. Ed erano molto funzionali, visto che nella raffinata concezione della personalità in cui erano collocate, alcune di queste avevano anche facoltà di abbandonare il corpo per prendere le sembianze di animali o viaggiare nella dimensione parallela per assolvere a scopi divinatori e di cura.

Si trattò in sostanza di un'abile operazione di marketing religioso, simile a quelle che fanno certe agenzie finanziarie (infami) che raccolgono i tuoi numerosi debiti in uno solo che devi poi restituire con pesantissime rate peraltro poco (per nulla) convenienti. Ecco, gli indios mesoamericani stanno ancora pagando rate con interessi da usuraio per quell'anima e non ci sarà tribunale divino abbastanza giusto e potente da poterli risarcire delle ingiustizie subite che si sono spinte fino alla colonizzazione dei loro corpi, del loro immaginario e dei loro sogni. Ma c'è di più. Quell'unica anima con la quale dovettero iniziare giocoforza a familiarizzare era anche imperfetta per definizione. Era infatti macchiata da un fantomatico peccato originale dovuto alla trasgressione iniziale di due buontemponi della religione che nel mito cosmogonico ebbero il merito di procurare quell'ira divina che originò la radice di ogni sofferenza umana. Impararono anche che quel dio non solo era potentissimo, ma anche molto irascibile e incredibilmente severo visto che al confronto, per aver rubato solo un frutto, le loro divinità si sarebbero limitate ad un castigo ben più lieve, una diarrea durante la notte, per esempio.

L'idea del peccato non fa dunque parte della concezione originaria amerindiana, non c'è trasgressione che possa incrinare il rapporto schietto con le proprie divinità. Il rapporto è interamente basato sulla reciprocità (dare, ricevere e contraccambiare, insomma qualcuno deve sempre risultare in debito). Se da un lato gli umani ricevono salute, protezione e prosperità, dall'altro le divinità ottengono cure ed attenzioni cerimoniali. Dopotutto Marcel Mauss vide nelle pratiche sacrificali primitive le origini del dono e dello scambio che custodivano in sé i germogli delle più moderne forme di contratto (ma diffidate di Marcel riguardo a quest'ultima affermazione giacché pare che avesse ereditato dallo zio una terribile forma di evoluzionismo che lo faceva sragionare). Più che macchiati dal peccato dunque gli indios sarebbero perennemente indebitati (come del resto lo sono tutti i poveri del mondo ...).

In un mito mazateco si racconta di un originario gruppo di uomini piuttosto trasandato, affamato ed afflitto.
La terra, troppo molle per essere lavorata, non permetteva loro di costruire le proprie abitazioni ed ogni volta che tentavano di solcarla per seminare, il sangue iniziava a sgorgare come da una profonda ferita. Dovettero chiedere aiuto alle formiche che li ospitarono gentilmente nei loro formicai (sono troppo ospitali le formiche, come del resto lo sono i greci o i marchigiani o gli scandinavi, insomma tutti quelli che abitano in qualsiasi posto dove si va in vacanza).

I membri più anziani di quel derelitto gruppo uscirono dai formicai per comunicare con il Sole il quale si fece autorevole portavoce della supplica umana riportandola direttamente alla Terra dicendole: "Terra, collabora, torna ad indurirti e permetti agli esseri umani di ferirti creando solchi per depositare le sementi, consenti loro di nascere, crescere e prosperare, lascia che mangino i tuoi frutti e che piscino e caghino su di te innumerevoli volte poi, alla fine della loro esistenza, prenditeli, cibatene, perché gli uomini sono tuoi: nutrili, e ti nutriranno". Ebbe origine la morte, il debito umano nei confronti degli déi.

Le offerte di cibo alle divinità dunque altro non sarebbero che piccole rate di quel debito contratto dagli uomini con le forze fantasmatiche che hanno concesso loro l'esistenza, il cui saldo arriverà solo al momento della morte. Gli déi sono quindi sempre molto affamati e le offerte sono una sorta di aperitivo in vista del banchetto finale quando, infine, si divoreranno ogni singolo essere umano. Non a caso molti termini linguistici amerindiani impiegati per indicare le offerte fatte alle divinità hanno il significato di "sostituto" (nel senso che sostituiscono momentaneamente la vera offerta, quella finale, la vita umana). Questo diventa ancor più tragicamente reale quando ad essere offerto è direttamente il corpo umano, un pezzo per volta. Se fate un giro intorno al lago Turkana noterete esseri derelitti con orecchie mozzate nella parte superiore, la prima parte del corpo ad essere sacrificata per supplicare che la sventura si plachi su di loro o sulla loro famiglia (pare che anche durante il Paleolitico fosse usuale sacrificare ritualmente alle divinità la falange del dito di una mano, c'è un brano bellissimo al riguardo in apertura di un capitolo nella Danza della Tigre di Kurtén Björn).

Ricapitolando, gli ordini più bassi di animali si cibano di vegetali e non disdegnano di mangiarsi tra loro e, congiuntamente, costituiscono il nutrimento per gli esseri umani che, oltre a saper essere cannibali, a loro volta nutriranno gli déi, dopo averli omaggiati in vita con offerte sostitutive. Ma sempre per via della reciprocità di cui si diceva prima o per la connaturata tracotanza del genere umano gli uomini ambiscono anche a mangiarsi le divinità (questo però succede soltanto nei gradi più infimi e selvaggi dello sviluppo religioso).

Gli Aztechi creavano figure di divinità con semi di amaranto e se le divoravano durante le festività a loro dedicate (se andate nella metropolitana di Città del Messico potrete fare la medesima esperienza comprando delle barrette di alegría, anche se la forma usuale è tonda oppure squadrata e non assomiglia affatto a Hitzilopochtli o Tezcatlipoca). 

Il corpo di Cristo è invece cibo sacro per zelanti cristiani di tutto il mondo. I mazatechi, sempre estremamente creativi, hanno sostituito la classica ostia cristiana consacrata, bianca e tonda, con dei funghetti allucinogeni color crema che consumano fin dall'epoca preispanica conferendo loro un nuovo valore eucaristico (c'è gente pronta a scommettere che in quell'eucarestia ci sia molto più dio di quanto non ve ne sia in quella che viene consumata la domenica a messa).

Insomma, se tutti mangiano tutti, ognuno è preda e presto o tardi verrà mangiato da qualcosa o qualcuno, non c'è via di fuga. 

Ci pensavo durante una visita al santuario d'Oropa guardando dentro alla nicchia che custodisce la scultura lignea della madonna a cui è dedicato il santuario. Cosa penserebbero i biellesi se sapessero che dietro quello sguardo benevolo e materno se ne nascondesse uno bramoso e famelico (non fosse perché sospettoso che gli uomini vorranno torturare ed uccidere il frutto del suo seno per poi ricordarlo mangiandone simbolicamente il corpo e bevendone avidamente il sangue come fanno periodicamente vicino all'altare proprio sotto ai suoi occhi).

Probabilmente scopriranno al momento dovuto il motivo per il quale il suo volto è nero, nero come la terra.

Nessun commento:

Posta un commento